LA FRUIZIONE DELLE FERIE IN EMERGENZA SANITARIA

Ferie da fruire, tra principi generali ed emergenza sanitaria.

Gli ultimi provvedimenti prevedono un’ulteriore indicazione gestionale per tutti i datori di lavoro, su tutto il territorio nazionale, spingendo i datori di lavoro a promuovere e favorire la fruizione di ferie e congedi ordinari. Fondazione studi dei Consulenti del lavoro ha spiegato tutte le modalità di concessione con le circolari n.5 del 9 marzo e n.6 del 10 marzo (dopo l’allargamento a tutt’Italia dei provvedimenti restrittivi). Il decreto si allinea alla giurisprudenza maggioritaria secondo cui fermo il diritto irrinunciabile e costituzionalmente garantito del lavoratore al godimento di ferie annuali retribuite, l’esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente all’imprenditore, quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell’impresa; al lavoratore compete soltanto la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruire del riposo annuale.

Guardando al panorama normativa esistono dei principi generali di collocazione del godimento delle ferie, distinguendo all’interno del periodo minimo annuo di 4 settimane, goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione e rimandando alla contrattazione collettiva o a normative speciali per ulteriori indicazioni.

Il periodo annuale di ferie retribuito va goduto nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro.

A prescindere dal ricorso alle misure ordinarie, straordinarie e derogatorie degli ammortizzatori sociali (CIG, GIG in deroga, ecc.), il datore di lavoro potrà legittimamente affiancare al lavoro agile (non applicabile per figure come i lavoratori coinvolti nei cicli produttivi di lavorazione strettamente industriali, così come per quanto concerne gli operatori di vendita al dettaglio degli esercizi commerciali), il collocamento unilaterale in ferie, specie per i lavoratori che dispongono di un accantonamento feriale di notevole entità.

Tutte le informazioni e tutta la modulistica utilizzabile sono reperibili presso il nostro Studio di Consulenti del Lavoro.

 

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 SMART WORKING, I LAVORATORI OCCUPABILI

I lavoratori dipendenti italiani potenzialmente occupabili in smart working (manager e quadri, professionisti, tecnici e impiegati d’ufficio) sono 8 milioni 359 mila. Se ad un terzo di questi fosse concessa la possibilità di lavorare saltuariamente o stabilmente in modalità “agile”, si raggiungerebbero i 2 milioni 758 mila.

Questa modalità di lavoro, portata al centro dell’attenzione dall’emergenza Coronavirus con il DPCM del 25 febbraio 2020, è largamente diffusa in Europa, ma ancora molto poco in Italia.

Nel nostro Paese, nonostante la legge sul lavoro agile (L. 81/2017) abbia introdotto elementi di flessibilità organizzativa nel mercato del lavoro italiano che, sfruttando le opportunità offerte dalle nuove tecnologiche, consentono di coniugare gli obiettivi di efficienza e produttività aziendale con il benessere del lavoratore, il numero dei dipendenti coinvolti è ancora estremamente basso.

Per quale motivo?
Nella maggior parte di casi la motivazione è dettata da una diffidenza verso soluzioni organizzative innovative, che facciano della cultura del risultato il baricentro del modello gestionale. “Il lavoro agile rappresenta un vero e proprio modello organizzativo per le aziende e necessita di un approccio e di strumenti gestionali diversi da quelli ordinari o emergenziali”, evidenzia il Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca. “Se da un lato sono evidenti i benefici per il dipendente che lavora da casa in termini di conciliazione vita privata e lavoro, riduzione dei tempi e dei rischi legati allo spostamento casa-lavoro – continua –, dall’altro lato, l’adozione di questo modello implica da parte delle aziende uno sforzo organizzativo rilevante in termini di investimento tecnologico; revisione dei processi di lavoro, formazione e valutazione dei dipendenti e soprattutto il superamento delle naturali diffidenze che possono sussistere da parte del management e degli stessi lavoratori”.

Organizzare il lavoro “smart”, quindi, è una vera e propria rivoluzione culturale per le imprese, che comporta un modello di lavoro basato sul risultato ma anche grandi opportunità di crescita. “Ben vengano, dunque, in questo frangente provvedimenti d’urgenza volti a favorire il lavoro agile, ma è assolutamente necessario implementare questa modalità lavorativa con interventi più strutturali e mirati, volti ad incentivarne l’utilizzo e a risolvere anche alcune ambiguità normative, come quelle legate al tema della sicurezza, che ancora ne ostacolano la diffusione”, conclude De Luca.

Per ogni informazione potete rivolgervi al nostro Studio di consulenza del Lavoro.

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Bonus nido: importi 2020

È attiva la procedura Inps on line per l’invio delle domande per il bonus nido 2020.

Con la circolare n. 27 del 14 febbraio 2020 l’Istituto chiarisce come funziona l’agevolazione per la frequenza di asili nido pubblici e privati, gli importi per il 2020 e le modalità di presentazione delle domande di accesso. A decorrere da quest’anno l’importo annuo del contributo sale fino a 3.000 euro, qualora l’ISEE minorenni sia inferiore ai 25.000 euro annui.

In caso di ISEE minorenni da 25.001 a 40.000 euro annui il budget annuo previsto è di 2.500 euro, per ISEE minorenni superiori ai 40.001 euro l’importo massimo previsto è di 1500 euro all’anno.

Il beneficio – si legge nella circolare  – può essere corrisposto, previa presentazione della domanda da parte del genitore in possesso dei requisiti previsti, per contribuire sia al pagamento delle rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati autorizzati (contributo asilo nido), sia all’utilizzo di forme di supporto presso la propria abitazione a beneficio di bambini di età inferiore a tre anni, impossibilitati a frequentare gli asili nido in quanto affetti da gravi patologie croniche (contributo per introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione).

La domanda, corredata con la documentazione illustrata dalla circolare, deve essere presentata esclusivamente in via telematica specificando a quale dei due benefici si desidera accedere.

L’Istituto ricorda che il richiedente che intende fruire del beneficio per più figli deve presentare una domanda per ciascuno di loro.

Con il messaggio n. 596 del 17 febbraio 2020, inoltre, l’Inps ricorda che, entro il prossimo 1° aprile 2020, è necessario allegare all’istanza di erogazione del bonus nido anche le ricevute delle rette di asilo nido 2019. Tale scadenza – si legge – è estesa inoltre alle strutture private autorizzate.

Per ottenere il rimborso delle mensilità richieste nella domanda, i soggetti aventi diritto dovranno provvedere, entro il termine indicato, all’invio telematico della documentazione probatoria, esclusivamente attraverso la funzione “Allegati” del servizio online di presentazione della domanda, accessibile dai cittadini in possesso di PIN Inps (o SPID o Carta Nazionale dei Servizi), o tramite l’applicazione INPS mobile, attraverso il servizio “Bonus nido allegazione”.

La presentazione della documentazione di spesa tramite canali diversi (ad esempio PEC o mediante consegna manuale presso le strutture dell’Istituto) non consentirà l’erogazione del beneficio.

Tutte le informazioni sono reperibili presso il nostro Studio di Consulenza del Lavoro.

 

 

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In arrivo un nuovo incentivo per chi assume giovani …e non solo

Si chiama “IncentivO Lavoro (IO Lavoro)” la nuova agevolazione all’occupazione istituita dall’Anpal con il decreto n. 52 del 11 febbraio 2020 e destinata ai datori di lavoro privati che assumano stabilmente, tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2020, soggetti disoccupati (ai sensi del d. lgs. n. 150/2015 e del d.l. n. 4/2019, convertito con modificazione dalla l. n. 26/2019).

 

L’età dei giovani che rientrano nelle nuove disposizioni va dai 16 e 24 anni. L’esonero potrà riguardare anche persone con età maggiore, purché prive di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi ai sensi del D.M. 17 ottobre 2017.

Uno dei requisiti per tutti i soggetti è l’assenza di un rapporto di lavoro, negli ultimi 6 mesi, con lo stesso datore che richiede l’esonero. Il bonus vale per tutt’Italia e per finanziare la misura sono stati stanziati circa 329 milioni di euro a valere sui fondi PON e POC “Sistemi di Politiche Attive per l’Occupazione” 2014-2020. 

L’incentivo è riconosciuto, nel rispetto del regime “de minimis” (in alternativa solo in presenza di alcuni stringenti requisiti), esclusivamente per assunzioni a tempo indeterminato, anche a scopo di somministrazione o part-time, o per trasformazioni da tempo determinato a indeterminato, nonché per contratti di apprendistato professionalizzante. Di durata annuale a partire dalla data di assunzione, l’agevolazione sarà pari alla contribuzione previdenziale a carico del datore di lavoro, con esclusione di premi e contributi dovuti all’Inail, nel limite massimo di 8.060 euro per assunto, con applicazione mensile, da riproporzionare in caso di tempo parziale. Il beneficio va fruito, a pena di decadenza, entro il 28 febbraio 2022.

L’incentivo è, inoltre, cumulabile sia con quello destinato alle imprese che assumono percettori di reddito di cittadinanza, sia con altri incentivi di natura economica introdotti ed attuati.

IO Lavoro – si evidenzia infine nel decreto – sarà gestito dall’INPS secondo le istruzioni fornite con apposita circolare dallo stesso Istituto. L’INPS dovrà, infatti, prevedere un’istanza on line preliminare, definire l’importo dell’incentivo spettante a seconda del caso concreto, verificare i requisiti, accertare la disponibilità di risorse e comunicare l’esito delle verifiche e delle prenotazioni.

Informazioni sono reperibili presso il nostro Studio di Consulenza del Lavoro, anche ai fini di alcuni chiarimenti in merito alla cumulabilità dell’incentivo.

 

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Assenze dal lavoro per attività politiche

Le assenze per attività politiche durate il rapporto di lavoro, comportano diritti ed obblighi da parte di lavoratori e datori di lavoro. Lo Statuto dei Lavoratori e nel Testo Unico sugli Enti Locali sono le principali norme che riconoscono il diritto a permessi ed aspettative.

L’aspettativa è prevista per i lavoratori membri del Parlamento nazionale, del Parlamento europeo o di assemblee regionali o chiamati ad altre funzioni pubbliche. Aspettativa e permessi, retribuiti e non, sono consentiti anche ai lavoratori chiamati a ricoprire incarichi negli Enti Locali (consigli comunali, circoscrizionali, città metropolitane, provinciali e di altri enti territoriali). Per i dipendenti che svolgono le funzioni presso i seggi elettorali, compresi i rappresentanti di lista, in occasione di tutte le consultazioni elettorali disciplinate da leggi della Repubblica o delle regioni compresi i referendum sono previsti permessi retribuiti. Permessi, retribuiti e non, spettano per le attività svolte dai lavoratori occupati nelle funzioni di consigliere di parità a livello nazionale, regionale e provinciale.

Per quanto attiene, invece, alle assenze per attività sindacali lo Statuto dei Lavoratori e la contrattazione collettiva riconoscono il diritto a permessi ed aspettative:

  • aspettativa per i lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali nazionali e provinciali per tutta la durata del loro mandato e il distacco sindacale;
  • permessi retribuiti per la partecipazione alle riunioni degli organi sindacali ai quali appartengono, per i componenti degli organi direttivi provinciali e nazionali;
  • permessi retribuiti, e non, per i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali per l’espletamento del loro mandato;
  • permessi retribuiti e non per i dirigenti delle rappresentanze sindacali unitarie per l’espletamento del loro mandato (contrattazione collettiva).

Il datore di lavoro non può opporre eventuali esigenze aziendali contrastanti con il collocamento del lavoratore in aspettativa o in permesso, né tantomeno può porre dei comportamenti tesi a discriminare il lavoratore o ledere i suoi diritti. In ogni caso il datore ha l’obbligo di consentire l’assenza con conseguente mancata prestazione lavorativa e, in alcuni casi, anche l’obbligo della corresponsione della retribuzione, o di parte di essa, con riflessi sul rapporto che variano a seconda della natura dell’assenza.

Informazioni presso il nostro Studio di Consulenza del Lavoro.

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Regime forfetario: nel 2020 stimata una perdita di 10 mila lavoratori autonomi

Quest’anno, per effetto delle modifiche alla flat tax degli autonomi contenute nella manovra di bilancio, 10 mila lavoratori neo iscritti al regime forfetario dovranno rinunciare all’attività autonoma. Si tratta di tutti coloro che hanno aperto la partita Iva nel 2019, ma che avevano contemporaneamente un reddito da lavoro dipendente o assimilato.

La legge di bilancio per il 2020 prevede, infatti, l’introduzione di nuovi requisiti di accesso al regime forfetario, da possedere l’anno precedente all’applicazione del regime. Tra questi, il non aver percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (artt.49 e 50 del TUIR) eccedenti l’importo di 30.000 euro (verifica soglia irrilevante per rapporto cessato). Tale condizione sembra, in particolare, svantaggiare i titolati di partita Iva con un’età compresa tra i 51 e i 65 anni (4.084 abbandoni) e i pensionati over 65 (3.527).

A fornire questi dati è lo studio “Regime forfetario: i dati 2019 e la proiezione sul 2020”, redatto dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro, realizzato in collaborazione con il Dipartimento Economia e Fiscalità del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, che ha analizzato i dati delle aperture delle partite Iva avvenute durante i primi 9 mesi del 2019, con particolare riferimento ai soggetti che hanno aderito al forfetario a seguito delle modifiche introdotte dalla manovra 2019, ed effettuato una stima dei soggetti che quest’anno saranno costretti ad abbandonare il forfetario per via delle nuove restrizioni contenute nella legge di bilancio.

L’analisi dell’Osservatorio stima che a dicembre 2019 si conterebbero 269.569 nuove iscrizioni in regime forfetario, oltre i due terzi (67,5%) del totale delle nuove iscrizioni 2019 (399.584). Facendo riferimento al nuovo regime forfetario, a fine 2019, ci sarebbero 554.902 aderenti, dati dalla somma dei 285.333 autonomi che nelle dichiarazioni Iva di aprile 2019 hanno optato per il nuovo regime forfetario e le 269.569 nuove iscrizioni che hanno aderito al regime.

Il dato 2019 mostra un incremento di circa 40 mila soggetti (+11%) rispetto al 2018. Analizzando nel dettaglio le variazioni per classi di età, sono i soggetti con oltre 65 anni (+25,8% rispetto al 2018) e i lavoratori adulti (+19,7%) a trainare l’aumento annuale. Inoltre, osservando l’andamento per settore economico, si registrano aumenti consistenti nel settore dei servizi medico-sanitari (+274%) e fra le attività professionali, scientifiche e tecniche (+48%).

 

 

 

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Rimborso chilometrico tutto rimborsabile?

Esiste un limite per il rimborso chilometrico riconosciuto ad un lavoratore comandato fuori comune. Il lavoratore dovrebbe percorrere circa 170 chilometri giornalieri pari a circa 50.000 chilometri l’anno. Sono tutti rimborsabili secondo le tabelle ACI.?

La risposta fornita da Fondazione studi Consulenti del lavoro precisa che per indennità chilometrica si intende il rimborso che l’azienda eroga al dipendente per l’utilizzo del proprio veicolo  per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Per effettuare il calcolo dell’ammontare di rimborso chilometrico da corrispondere al lavoratore dipendente, è necessario fare riferimento alle Tabelle Aci, le quali prevedono due tipologie di costi annui di percorrenza:

proporzionali, ovvero correlati al grado di utilizzo del veicolo (esempio: carburante, pneumatici, manutenzione e riparazione);

non proporzionali, ovvero svincolati dal grado di utilizzo dei veicolo (esempio: assicurazione R.C.A., tassa automobilistica).

Ai fini della determinazione del costo chilometrico l’azienda ha due possibilità:

• riconoscere solo la parte di costi proporzionali; in questo caso il rimborso è interamente deducibile se l’autovettura rientra nella categoria dei 17 cavalli fiscali, se benzina, o 20 cavalli fiscali, se diesel;

• riconoscere i costi proporzionali e una parte di quelli non proporzionali; in questa seconda ipotesi, i costi non proporzionali dovranno essere computati sulla base di criteri che tengano conto sia dell’utilizzo personale, sia di quello lavorativo. Ad esempio attraverso una suddivisione in base al rapporto tra percorrenza di lavoro e quella privata, oppure mediante una ripartizione regolata sul rapporto tra i giorni impiegati nelle trasferte di lavoro e quelli in cui vi sia stato utilizzo privato.

Agenzia entrate con la risoluzione n. 92/2015 afferma che laddove la distanza percorsa dal dipendente per raggiungere, dalla propria residenza, la località di missione risulti inferiore rispetto a quella calcolata dalla sede di servizio, con la conseguenza che al lavoratore è riconosciuto, in base alle tabelle ACI, un rimborso chilometrico di minor importo, quest’ultimo è da considerare non imponibile. Invece, nell’ipotesi in cui la distanza percorsa dal dipendente per raggiungere, dalla propria residenza, la località di missione risulti maggiore rispetto a quella calcolata dalla sede di servizio, con la conseguenza che al lavoratore viene erogato, in base alle tabelle ACI, un rimborso chilometrico di importo maggiore rispetto a quello calcolato dalla sede di servizio, la differenza è da considerarsi reddito imponibile.

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Calcolo interessi e rivalutazione

Calcolo interessi e rivalutazione

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Decreto Fiscale, le proposte dei Consulenti del Lavoro

Escludere i lavoratori autonomi dalla norma che prevede la possibilità di compensare crediti di natura fiscale per importi superiori a 5.000 euro annui e modificare la disciplina in materia di ritenute e compensazioni in appalti e subappalti.

Queste, in sintesi, le proposte di modifica al decreto fiscale (D.L.n. 124/19) presentate nei giorni scorsi alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro (CNO).

Il CNO ha espresso diverse perplessità su mezzi e modalità per contrastare l’evasione inserite nel decreto fiscale che complicano ancor di più l’attuale sistema.

In particolare, in riferimento al contrasto alle indebite compensazioni, la modifica viene estesa, oltre all’IVA, a tutte le tipologie di crediti di natura fiscale.

Da tale estensione ricevono i maggiori disagi i lavoratori autonomi, che sono già soggetti alle ritenute a titolo di acconto dell’imposta sul reddito, peraltro, già certificate dal committente e conosciute dall’Agenzia delle Entrate.

La norma, infatti, prevede la possibilità di compensare crediti di natura fiscale per importi superiori a 5.000 euro annui, a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione da cui il credito emerge.

Un’altra proposta di modifica contenuta nel documento è quella inerente le ritenute e compensazioni in appalti e subappalti e in merito all’estensione del regime del reverse charge.

Condivisibile per il CNO l’estensione del regime dell’inversione contabile con l’obiettivo di contrastare e arginare il fenomeno dell’evasione dell’IVA nei contratti di appalto e subappalto caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera. Troppo complesso e gravoso, invece, il meccanismo di comunicazioni incrociate e gli adempimenti relativi al versamento delle ritenute fiscali di lavoro dipendente ad opera del committente in luogo dell’appaltatore, dell’affidatario o del subappaltatore.

Il CNO, dunque, ritiene che tale disciplina debba essere eliminata o, in subordine, rideterminata come segue: limitare la platea dei destinatari alle sole ipotesi di contratto di appalto e di subappalto di servizi endo-aziendali in cui vi è prevalente utilizzo di manodopera (cd. labour intensive); semplificare la procedura introducendo un servizio informatizzato di controllo dell’operato dell’appaltatore/subappaltatore; infine, escludere dall’obbligo di versamento al committente anche le piccole e medie imprese.

 

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Domande di assegni nucleo familiare anche dai Consulenti del lavoro

Presentata ufficialmente, nel corso del tavolo tecnico dello scorso 30 ottobre tra la Direzione Centrale Inps e il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro (CNO), la procedura che consentirà agli iscritti all’Ordine di inserire le domande di assegno nucleo familiare per conto dei dipendenti per le sole aziende in deroga.

Come si ricorderà, dal 1° aprile le domande per ottenere l’assegno per il nucleo familiare per i lavoratori dipendenti dovranno essere inoltrate dal lavoratore esclusivamente all’INPS in via telematica. La procedura – si legge nel report informativo diffuso il 6 novembre dal CNO – prevederà l’acquisizione da parte del datore di lavoro di una specifica delega per questa attività, sottoscritta oltre che dal lavoratore anche dai soggetti con reddito compresi nel nucleo familiare. Il datore non dovrà fornire ulteriore delega all’intermediario e sarà, inoltre, tenuto a conservare e controllare tutta la documentazione fornita dal lavoratore. Come precisato dal CNO, si ribadisce nuovamente che, ove al momento della presentazione della domanda si sia in presenza di autorizzazione (ANF43) in corso di validità, il sistema consentirà il regolare inoltro della stessa; in caso contrario, la domanda verrà respinta e sarà onere del lavoratore attivarsi per ottenere una nuova autorizzazione prima di procedere alla domanda ANF. La piattaforma verificherà, inoltre, se il dipendente è effettivamente in forza presso l’azienda in delega, interrogando il sistema delle COB/Unilav e, solo in subordine, l’UniEmens.

Si attende, infine, l’imminente pubblicazione di un messaggio da parte del Dirigente Generale dell’Inps per la materiale attivazione della piattaforma. In merito agli aggiornamenti sulla piattaforma di consultazione ANF, l’Inps informa che in caso di arretrati l’introduzione della nuova consultazione avrebbe dovuto abrogare l’obbligo di presentazione della procedura VIG per conguagliare gli importi superiori a 3.000,00. Tale funzionalità, tuttavia, ad oggi non risulta ancora pienamente operativa. Grazie, comunque, alle sollecitazioni del CNO tale limite è stato elevato a € 20.000,00 e resterà fisso fino al prossimo dicembre 2019.

A partire dal gennaio 2020 dovrebbe registrarsi il passaggio al regime definitivo, che non prevederà l’applicazione di alcun massimale in ordine al recupero degli arretrati ANF.

Dallo scorso 9 ottobre – si legge infine nel documento – è stato attivato, per le sole richieste massive, un sistema di alert via mail/pec.

 

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