Il piano per rimettere in moto l’economia passa dagli investimenti in politiche attive del lavoro rivolte ai percettori di NASpI, dall’introduzione di un salario minimo legale e da una riforma organica del sistema fiscale, che preveda una congrua riduzione del cuneo fiscale. Su questi tre punti il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro (CNO) ha elaborato alcune riflessioni e proposte che sono state presentate il 15 luglio al Vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, nel corso del tavolo di confronto con le parti sociali mirato alla stesura della prossima manovra finanziaria.
Nel documento il CNO sottolinea come, in un Paese a bassa crescita come l’Italia, la riduzione delle tasse non può che passare dalla ricerca di maggiori risparmi. Una voce di spesa in continuo saldo negativo è costituita, ad esempio, dai sussidi per disoccupazione erogati ai lavoratori che hanno perso il lavoro in modo involontario. Per rendere sostenibile questa spesa servirebbe – secondo la Categoria – un piano di investimenti in politiche attive del lavoro rivolte ai percettori di NASpI. Se le politiche attive fossero finalizzate al ricollocamento dei lavoratori in NASpI presso le aziende in cerca di personale qualificato, sarebbe possibile azzerare nell’arco di 5 anni il saldo attualmente negativo di 10 miliardi di euro l’anno. Oggi, invece, le misure volte al reinserimento dei percettori di disoccupazione sono delegate alla programmazione delle politiche del lavoro regionali dirottando l’assegno di ricollocazione sui percettori del reddito di cittadinanza. Altra misura esaminata è l’impatto sul costo del lavoro delle imprese italiane, soprattutto quelle piccole e medie, che si avrebbe con l’introduzione di un salario minimo legale per i lavoratori dipendenti. Per il CNO, pur essendo condivisibile il tentativo di dare dignità economica al lavoro e combattere i fenomeni di manodopera a basso costo in violazione dei diritti dei lavoratori, tale introduzione potrebbe comportare una serie di effetti negativi: una minore disponibilità di risorse per trattamenti retributivi aggiuntivi come premi di produzione e welfare aziendale; l’aumento del prezzo di beni e servizi da parte delle imprese tenute ad affrontare nuovi costi, che potrebbe vanificare i benefici sui consumi e sul potere d’acquisto che la norma sul salario minimo tende a generare, dumping sociale con i lavoratori europei, delocalizzazioni, lavoro sommerso.